LA VERGINE ARDENZA

La leggenda di Ardenza racconta una storia di purezza, sacrificio e un amore spirituale che si scontra con le forze terrene. Ardenza, una giovane vergine di bellezza incantevole, votata a Dio, era perseguitata dalla volontà del padre di darla in sposa a un crudele principe vicino. Per sfuggire a questo destino, decise di fuggire nella notte dal castello paterno, rifugiandosi nel folto di un bosco incantato. Ogni passo che la giovane compiva in quella natura selvaggia faceva fiorire gigli, simboli della sua purezza, di due tipi: gigli di fiamma e gigli di neve, rappresentazioni del suo fervore spirituale e della sua innocenza incontaminata. Questa via mistica fu poi chiamata Cammino dei Gigli. Ardenza visse per un tempo indefinito nel bosco, comunicando con Dio, i fiori e gli angeli, che la proteggevano e le facevano compagnia. La natura stessa sembrava assisterla, con un gruppo di api che ogni giorno le donava del miele puro e fragrante, simbolo della grazia divina che la nutriva. In questo ambiente sacro, Ardenza fiorì in santità, cantando e pregando con fervore, così da sembrare quasi parte della natura stessa. Nel frattempo, nel mondo esterno, si diffuse la credenza che la giovane fosse morta, e il suo nome fu pianto da tutti coloro che avevano sentito parlare della sua bellezza. Tuttavia, il principe, deciso a trovarla, organizzò una gigantesca battuta di caccia. Con un corteo di uomini, cavalli e cani, penetrò nel cuore della foresta, abbattendo ogni ostacolo davanti a sé. L’atmosfera del bosco, prima tranquilla, divenne un caos di suoni, con urla, trombe e corni che echeggiavano ovunque. Ardenza, terrorizzata da questa caccia spietata, cercò rifugio in una macchia di mirto, nascondendosi tra i suoi stessi lunghi capelli scuri, che le avvolgevano il corpo come un mantello. Tuttavia, uno dei cani, apparentemente posseduto da una forza maligna, fiutò la sua presenza e iniziò a ululare incessantemente, attirando il principe verso il nascondiglio della fanciulla. Così, il cacciatore la scoprì e, riconoscendola come la sua promessa sposa, decise di strapparla alla vita consacrata che aveva scelto. Il principe la condusse con forza al castello, preparandosi a celebrare delle nozze forzate. Tuttavia, quando mise Ardenza di fronte a una scelta definitiva, “O me o la morte”, la giovane non esitò e scelse la morte. Il principe, furioso per la sua decisione, ordinò ai suoi fabbri di forgiare una veste di bronzo nella quale farla rinchiudere. Dentro quella pesante prigione di metallo, Ardenza cantò per tre ore: dapprima con gioia, poi con dolore, e infine con un canto di agonia, fino alla sua morte.

La storia non finisce con la sua tragica morte, ma si proietta nel futuro con un’aura di mistero. Si narra infatti che, dopo molti secoli, quando fu necessario fondere le campane per la chiesa di Viggianello, mancasse il bronzo necessario. Cercando tra i tesori nascosti nei sotterranei del castello, gli abitanti trovarono la veste di bronzo che aveva imprigionato Ardenza. Da quel metallo fu forgiata una nuova campana e, quando questa fu suonata per la prima volta, il suono che ne scaturì non fu un semplice rintocco, ma il canto della Vergine Ardenza: un lamento intriso della sua gioia, del suo dolore e della sua agonia. Si dice che, ogni anno, nella notte dell’anniversario della sua morte, le campane si muovano da sole, risvegliate dal respiro degli angeli, per cantare la sua storia. Tuttavia, solo coloro che sono puri di cuore, proprio come Ardenza, possono udire il loro canto incantato.

Dipinto dedicato alla leggenda della Vergine Ardenza presente all'interno della Biblioteca Comunale "Ferdinando Santoro"